In questo articolo, improntato più alla didattica che alla professione, parleremo degli edifici alti, passando in rassegna le possibili ipotesi progettuali, soffermandoci sulla struttura a tubo intelaiato e dando qualche informazione sulla modellazione delle azioni.
Lo scopo, è importante precisarlo, consiste esclusivamente nel dare un riferimento a coloro che seguono corsi di progettazione di edifici alti, come quello tenuto alla Federico II di Napoli. Ovviamente, in nessun modo può essere considerato sostitutivo di libri specifici sull’argomento né tantomeno degli appunti che possono essere presi a lezione. Considerate questo articolo, quindi, come uno sguardo al progetto di un amico che ha già sostenuto l’esame. Bene, fatta questa doverosa premessa, possiamo iniziare.
Immaginiamo di voler progettare un edificio alto di 50+1 piani, con ingombro in pianta di 36.6×30.5 m e con destinazione ad uffici. Quali soluzioni possiamo adottare per la struttura? Quali azioni dobbiamo considerare agenti? Qual è il comportamento dell’edificio sotto carico? Vediamo di rispondere a queste domande.
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IPOTESI PER IL TIPO DI STRUTTURA
Anzitutto cosa vuol dire “EDIFICIO ALTO”? La definizione non nasce dall’aver superato un numero limite di piani oltre il quale parliamo di edifici alti. Infatti, la denominazione non potrebbe essere riferita ad un valore numerico in quanto altrimenti dovremmo aggiornarla ogni anno vista la velocità con cui vengono superati i limiti di altezza già raggiunti (sono in progetto edifici alti 600 m).
Possiamo allora riprendere una definizione data dal Council on Tall Buildings and Urban Habitat:
«un edificio alto è un edificio la cui altezza crea condizioni differenti nel progetto, nella costruzione e nel suo utilizzo rispetto a quelle degli edifici ordinari esistenti in un dato periodo ed in una data regione» – (CTBUH, 1995)
Questa premessa è importante per motivare il perché non è possibile adottare soluzioni strutturali classiche come CBF (Concentrically Braced Frames), EBF (Eccentrically Braced Frames), MRF (Moment Resisting Frames). Con soluzioni del genere si può arrivare fino ad altezze molto limitate rispetto ai 200 m dell’edificio in progetto. Una struttura a nodi semirigidi o controventi consente di arrivare a massimo 10 piani o poco oltre mentre adottando nodi rigidi ci si può spingere fino a 30 piani (solo 20 nel caso di cemento armato). Una soluzione potrebbe essere allora quella di combinare CBF/EBF con MRF. Gli edifici controventati presentano una deformata di tipo flessionale, mentre gli edifici a telaio ne presentano una tipicamente tagliante; se andiamo a combinare le strutture, ovvero realizzare edifici a telai e con controventi si ha che i controventi trattengono l’edificio ai piani bassi, mentre il telaio lo trattiene ai piani alti.
Purtroppo, con tale soluzione si arriva a 40 piani e, quindi, è anch’essa da scartare.
Il passo successivo prevede l’impiego di strutture tubulari, ovvero il cosiddetto framed tube. Questa soluzione, cui possiamo dare la paternità a Fazlur Khan, consente di centrifugare le aree in pianta ed ottenere una migliore risposta nei confronti delle azioni laterali; Il framed tube è la perfetta risposta alle idee di Mies van der Rohe:
«Invece di risolvere nuovi problemi con vecchie forme, dobbiamo sviluppare nuove forme dalla natura stessa dei nuovi problemi» – (Mies van der Rohe, 1922)
Khan individua allora questa nuova forma tubolare che consente di schematizzare l’edificio come una mensola equivalente incastrata alla base la cui sezione è, appunto, a tubo.
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IL TUBO INTELAIATO
Il tubo intelaiato vede la sua prima diffusione intorno agli anni ’60 e ’70, con splendidi esempi come il Seagram Building, il World Trade Center e la Sears Tower (che presenta però alcune differenze sul tema).
Il concetto alla base è, come anticipato, schematizzare l’edificio come una trave a mensola la cui sezione presenta 2 flange per resistere al momento e 2 anime per sopportare sforzi di taglio. La flessione viene assorbita inducendo sforzi di trazione sulla faccia sopravento e compressione sulla faccia sottovento. Il taglio viene assorbito, invece, mediante flessione nelle colonne delle anime.
Il comportamento ideale è proprio quello di un tubo pieno, ma vi sono però delle differenze causate dalle aperture nel tubo reale. Per realizzare l’edificio, infatti, si dispone una serie di colonne ravvicinate tra loro e collegate da una fasciatura di bordo (spandrel beams). Il tubo così ottenuto presenterà però delle aperture che differenzieranno il comportamento effettivo da quello ideale, in quanto le anime non saranno realmente rigide ma bensì influenzate dalle aperture e, quindi, dai collegamenti discreti dati dalle travi. Ed è proprio la deformabilità delle travi ad incidere negativamente sul comportamento globale. La perdita di efficienza si traduce nel cosiddetto effetto shear lag.
Lo shear lag è evidente se analizziamo la distribuzione delle tensioni nelle colonne. Un tubo con perimetro pieno sotto l’azione del vento o del sisma avrebbe una distribuzione uniforme della trazione sulla faccia sopravento e della compressione sulla faccia sottovento. Lo stesso dicasi per le anime, in cui si dovrebbe avere la classica distribuzione “a farfalla” variabile linearmente. Nel caso reale, per effetto della deformabilità delle travi, gli sforzi assiali nelle colonne d’angolo sono incrementati, mentre nelle colonne centrali si riducono.
La sezione reale da considerare allora non è più una tubolare ma bensì una doppia C.
Le dimensioni effettive sono:
• Lf ≤ B/2;
• Lf ≤ Hbldg/10;
Ovvero, la lunghezza della flangia da considerare sarà pari al valore minimo tra la metà dell’anima ed un decimo dell’altezza dell’edificio. Nel caso in esame, considerando come azione il vento agente lungo X:
• Lf ≤ 36.6/2 = 18.3;
• Lf ≤ 200/10 = 20;
Risulta allora fondamentale progettare in maniera adeguata i collegamenti tra le colonne. Fazlur Khan nel 1973 propose un metodo per ottimizzare il rapporto tra la rigidezza delle colonne e quella dei collegamenti. In pratica, dopo aver dimensionato adeguatamente le colonne per carichi verticali e orizzontali si passa a dimensionare le spandrel beams, la fasciatura di bordo.
Si individuano:
1. Rigidezze flessionali:
a. Kc per le colonne = Ic /Hc;
b. Kb per le spandrel beams = Ib/L;
2. Rigidezze a taglio per le spandrel beams: Sb = 12EI / L3;
3. Rigidezze assiali per le colonne: SC = AcE / H.
I parametri che controllano il comportamento del tubo intelaiato sono:
1. Rapporto di rigidezza = Kc / Kb;
2. Fattore di rigidezza: Sf = Sb / Sc;
3. Rapporto di forma: R = flangia / anima.
Fazlur Khan affermava che per edifici tipici a FT il rapporto di rigidezza SR (che riguarda le rigidezze flessionali) varia da un massimo di 0.95 in cima fino ad un minimo di 0.40 al suolo; questi affermava anche che con un valore unitario di tale coefficiente si aveva la distribuzione migliore e più uniforme, con valori compresi tra 0.5 e 1.0 l’effetto shear lag c’è ma decresce, con valori compresi tra 1.0 e 2.0 l’effetto shear lag c’è ancora e cresce anche.
Per quanto concerne il fattore di rigidezza SF (che riguarda le rigidezze assiale e tagliante), esso può variare da 0.1 fino a 10. Anzitutto va premesso che le analisi di Khan sono eseguite prendendo come riferimento un edificio di 10 piani. Per confrontare edifici di altezze superiori è necessario effettuare una conversione. Tale conversione è data da:
SF x (N / 10)^2
Dove:
• SF è il fattore di rigidezza calcolato;
• N è il numero di piani dell’edificio.
In pratica l’analisi per un qualsiasi tipo di edificio viene ricondotta ad un edificio equivalente di 10 piani. E’ dunque SF10 il parametro cui fare riferimento nel nostro caso. Khan affermava che all’aumentare di questo parametro la distribuzione di sforzi assiali nelle colonne si avvicinava a quella di un tubo ideale.
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LA STRUTTURA IN DETTAGLIO
Diamo qualche informazione più specifica sull’edificio preso ad esempio per questo articolo. Ogni piano dei 50 costituenti l’edificio presenta 2 tipo di campate:
- 12.2 x 12.2 m;
- 12.2 x 6.1 m.
Con un’orditura di tipo classico, ovvero unidirezionale, si caricherebbero eccessivamente alcune colonne al contrario di altre. Prendiamo ad esempio la campata in basso a sinistra della figura che segue:
Con un’orditura esclusivamente orizzontale le colonne sulla facciata a sud sarebbero risultate quasi scariche in confronto a quelle della facciata ovest. Si è reso allora necessario ottimizzare la distribuzione dei carichi adottando un’orditura quasi bidirezionale.
Alla luce dei problemi esposti si è provveduto ad impiegare 2 tipi di travi secondarie costituite da sezioni accoppiate a C. Si hanno (i colori riprendono l’orditura della figura precedente):
- Top chord truss e bottom chord truss;
- Top bridging truss e bottom bridging truss.
Lo schema è il seguente:
L’immagine riportata è presa dal solaio di una struttura simile: il World Trade Center. Nel WTC, se guardiamo alle travi intermedie, si notano 4 sezioni a C sopra e 4 sezioni a C sotto, accoppiate a 2 a 2 per le secondarie principali (chord). Ogni coppia è collegata da tondini metallici opportunamente piegati.
Per le travi d’angolo e per le travi secondarie di ripartizione (bridging) i profili scendono da 4 a 2.
Nel nostro progetto le sezioni saranno sempre 2, sia per le secondarie principali che per le secondarie di ripartizione. Le prime sono riportate di seguito:
L’altezza totale è di 80 cm. I profili a C sono distanziati quel tanto che basta per far passare un tondino metallico di 6 cm di diametro. Da notare che se si avesse adottata una soluzione con 4 profili superiori e 4 inferiori, anziché solo 2 come in questo caso, le dimensioni sarebbero state ovviamente inferiori. Lo stesso tondino sarebbe scendo da un diametro di 6 cm ad uno di 3 (fi30).
Inferiormente si ha:
Di seguito è riportata una vista estrusa ottenuta dal SAP2000 v.11:
Il colore delle sezioni indica il tipo di trave.
Si può notare che, pur avendo assegnato insertion points, alcune travi secondarie di ripartizione risultano sovrapposte alle secondarie principali. In realtà è solo un problema di visualizzazione del programma.
Di seguito è invece riportata una campata in dettaglio ottenuta tramite modellazione con AutoCAD 2009:
Si riconoscono in giallo e arancione le travi top e bottom chord (secondarie principalI) mentre in verde e blu le top e bottom bridging truss (secondarie di ripartizione).
Il solaio è completato da una serie di travi principali longitudinali e trasversali:
Si adottano IPE 750×222 con piatti di rinforzo di 30×2 per le travi trasversali di luce pari a 12.2 m. La campata di 6.1 m è invece meno sollecitata, per cui è possibile adottare un profilo inferiore, ovvero: IPE 450 serie leggera.
Le travi longitudinali sono di un solo tipo, essendo le campate tutte di 12.2 m; si adottano IPE600-V.
Tali travi sono state prima verificate a resistenza e deformabilità, facendo ricorso ad un semplice foglio Excel, dopodiché le si sono modellate al SAP e verificate tramite la funzione Steel Design.
Al disopra delle travi è disposta una lamiera grecata ed un getto di cls per ottenere la soletta. Elemento fondamentale per poter schematizzare il solaio come un diaframma rigido e ridurre i gradi di libertà a 2 traslazionali ed 1 rotazionale.
Passiamo alle colonne. Per il nucleo si adottano profili scatolari quadrati con le sezioni che seguono:
Da notare che si lasciano invariate le dimensioni esterne di 70×70 cm e si fa variare lo spessore in base alle esigenze. Inoltre, dato che variando il solo spessore non si sarebbero potute mantenere le dimensioni esterne, si fa variare anche il tipo di acciaio. Si passa da S355 ai primi 2 ordini (piani 0-10 e 11-20), a S275 per l’ordine intermedio (piani 21-30), a S235 per gli ultimi 2 ordini (piani 31-40 e 41-50).
Per quanto riguarda le colonne del FT, esse sono costituite da profili scatolari rettangolari di dimensioni 30×50 cm. Anche in questo caso a variare è lo spessore ed il tipo di acciaio. Le colonne sono accoppiate con le spandrel, prefabbricate e portate in cantiere a moduli.
Il giunto tra spandrel è flangiato con bulloni ad alta resistenza:
Sempre sulle travi, e in corrispondenza delle colonne, sono situati gli appoggi per il solaio. Per mostrare in dettaglio il particolare di cui si parla si fa riferimento alla soluzione adottata per il WTC:
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IL MODELLO DELLE AZIONI
AZIONE DEL VENTO
La modellazione delle azioni del vento è un passo fondamentale e cui bisogna prestare particolare attenzione a causa dei disagi che può portare al normale utilizzo della struttura. Gli edifici alti, avendo una vasta superficie esposta alla pressione del vento, sono soggetti a momenti ribaltanti molto grandi. Le problematiche causate da questa azione sono:
1. Forza e stabilità.
2. Fatica negli elementi e nelle connessioni strutturali.
3. Eccessiva deformazione laterale, che potrebbe causare la rottura degli elementi di partizione interna e di rivestimento esterno e deformazioni permanenti degli elementi non strutturali.
4. Frequenza ed ampiezza dell’oscillazione massima, causa di sensazione di discomfort per gli occupanti dei piani alti.
5. Possibile incremento delle oscillazioni a causa dei vortici che si creano sin direzione normale a quella del vento.
6. Disagi ai pedoni che transitino nelle vicinanze dell’edificio.
7. Rumori fastidiosi.
Le semplificazioni che si fanno in ambito ingegneristico riguardano:
1. Variazione della velocità del vento con l’altezza;
2. Turbolenza;
3. Probabilità statistica;
4. Creazione di vortici;
5. Integrazione dinamica tra struttura e vento;
Omettiamo l’approfondimento di questa parte, rinviando come al solito a manuali specifici, così come i calcoli da effettuare. L’andamento dell’intensità di questa azione sul profilo dell’edificio è qualitativamente la seguente:
La normativa individua 3 zone diverse: 2 a pressione costante e 1 a pressione variabile. I limiti di ognuna sono individuati in base alle dimensioni dell’edificio.
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AZIONE DEL VENTO
Il calcolo del carico da neve è notevolmente più semplice e non vi sono particolari differenze con gli edifici ordinari.
Al contrario del carico da vento, in cui il sito risultava particolarmente favorevole per la realizzazione di un edificio alto, la Lombardia è la regione che da luogo al carico più gravoso in tutto il panorama italiano.
Non sono necessarie particolari prescrizioni per l’azione del vento, se non che potrebbe essere opportuno, data la natura particolare della costruzione, considerare un periodo di ritorno superiore ai 50 anni prescritti dalla normativa.
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MODELLAZIONE DELL’IMPATTO AEREO E STIMA DEI DANNI
I tragici fatti di cronaca dell’11/09 hanno posto particolare attenzione sulle problematiche derivanti dall’urto di un aeromobile su un edificio alto. Sebbene per il World Trade Center vi siano state più concause a dar luogo al crollo della struttura (in particolar modo l’influenza del carburante e dell’alta temperatura seguita all’incendio) si vuole qui analizzare il danno conseguente all’impatto di un Boeing 767 ad un generico piano del grattacielo.
Le dimensioni del velivolo sono le seguenti:
Ecco alcuni dati utili:
• Modello: Boeing 767;
• Velocità massima: Mach 0.8 (870 km/h);
• Lunghezza (d): 54.94 m;
• Altezza: 15.85 m;
• Peso a vuoto: 90 537 kg;
• Peso massimo al decollo: 172 368 kg.
Occorre adesso fare delle ipotesi:
Velocità nell’istante dell’impatto: 600 km/h (167 m/s);
Peso nell’istante dell’impatto: 100 000 kg;
Durata impatto: 0.60 s;
Punto d’impatto: 25° piano.
Da notare che la durata dell’impatto è stata ipotizzata. Tale valore è lo stesso che è stato ipotizzato nel rapporto del NIST NCSTAR 1-5d – “Reaction of Ceiling Tile Systems to Schocks“.
A questo punto occorre calcolare l’entità della forza impattante. Possiamo seguire le relazioni classiche della fisica nell’ambito della teoria degli urti oppure fare riferimento a specifici studi realizzati da professori e ricercatori sull’argomento. Particolarmente interessante e ben fatto è lo studio del professor Tomasz Wierzbicki del Massachusetts Institute of Technology (MIT). Nella sua relazione il professore affronta il problema dal punto di vista energetico, ricavando delle relazioni che ritiene adeguate a descrivere quanto accaduto l’11 settembre. In particolare, si desidera riportare in questo articolo la relazione relativa proprio alla forza impattante, che il professore calcola come:
Per il significato dei termini e per approfondire l’argomento si rimanda all’esaustivo lavoro svolto e pubblicato da Wiezbicki, liberamente consultabile in rete. Il primo problema consiste nel definire la massa che va ad impattare sull’edificio, dato che non stiamo parlando di un proiettile perfetto o una sfera, esempi tipici della fisica di base, ma di un oggetto completto qual è un Boeing:
Infatti, se guardiamo la fusoliera in dettaglio ci accorgiamo che essa è costituita da una serie di anelli di rinforzo ed elementi metallici di ogni genere:
Non essendo possibile considerare l’influenza di tutti questi elementi è necessario considerare uno spessore equivalente di alluminio.
Dopo aver calcolato la forza impattante, con le relazioni della fisica o con la procedura di Wierzbicki, il problema adesso sta nel fatto che quest’energia deve essere dissipata dall’edificio affinché si possa avere l’arresto dell’aereo. In caso contrario il Boeing 767 attraverserebbe la struttura per uscirne dall’altro lato. Dunque, ogni elemento che il velivolo incontra nel suo percorso contribuisce a diminuirne l’energia.
Prima di passare alle dissipazioni energetiche dobbiamo ipotizzare un punto d’impatto. Si è già detto che l’aereo colpisce il 25° piano dell’edificio, ma occorre stabilire con precisione se impatta contro 1 solaio o contro 2. Il diametro dell’aereo, infatti, è di 5 metri; l’altezza interpiano è di 3.90 m. Se l’aereo centra un solaio rimangono 3.90 metri sopra e 3.90 metri sotto (sottraendo lo spessore del solaio stesso rimangono 3.50 m e 3.50 m), mentre metà aereo ingombra 2.50. Il mezzo, nel caso in cui sia perfettamente contenuto nel piano orizzontale, non sfiorerebbe gli altri piani.
La seconda ipotesi considera, invece, l’impatto tra 2 piani. In questo caso l’aereo con le sue parti terminali tocca sia il piano superiore che quello inferiore.
Altra ipotesi importante riguarda la rigidezza relativa. I casi possibili sono:
• Corpo impattante rigido – corpo impattato deformabile;
• Corpo impattante deformabile – corpo impattante rigido.
Nel corso dello studio in esame (di cui questo articolo è solo un sunto) si ipotizzerà una situazione intermedia, ovvero: fusoliera rigida che impatta su colonne deformabili, ma ali deformabili rispetto alle colonne rigide. Questo ci permette di trascurare l’energia dissipata dalle ali.
Passiamo alle dissipazioni di energia. I primi ostacoli su cui va ad impattare la fusoliera dell’aereo sono le colonne del FT. Bisogna anzitutto ipotizzare il tipo di rottura, la quale può essere per:
• Taglio;
• Flessione.
Stando agli studi di Wierzbicki e al rapporto del NIST sul WTC è alquanto improbabile che si sia avuta rottura per flessione con la colonna schematizzata come una mensola e questo è dovuto all’elevata velocità d’impatto che non darebbe il tempo alla colonna di “attivare” l’inerzia. Una rottura di questo tipo, con elevata velocità d’impatto, è molto più probabile che avvenga per taglio, come rappresentato nell’immagine che segue:
Il calcolo dell’energia dissipata deve quindi tener conto delle sole aree resistenti a taglio. Ovviamente omettiamo i calcoli e passiamo allo step successivo, perché subito dopo aver tranciato le colonne, il corpo impattante incontra il solaio:
L’aliquota di energia dissipata da quest’ultimo è consistente e può essere calcolato con le relazione del prof. Wierzbicki.
Come fatto per la fusoliera, essendo il solaio composto da più materiali, è necessario individuare uno spessore di materiale equivalente. Di questo problema se ne sono occupati Wierzbicki, Paik e Braco grazie ai quali si è giunti alla cosiddetta “smearing tecnique“, letteralmente “tecnica della strisciata“. Grazie ai loro studi al MIT, infatti, sono arrivati a determinare la relazione vista sopra eseguendo una serie di prove sui materiali. Il tipo di rottura cui è soggetto il solaio sotto l’azione dell’urto del velivolo è simile a quella raffigurata nelle immagini che seguono:
Più in particolare Wierzbicki parla della cosiddetta “concertina tearing“, ovvero una rottura con accartocciamento essendo il solaio un misto di acciaio e soletta di cls:
Passiamo agli elementi costituenti l’aereo. Oltre all’energia dissipata dagli elementi strutturali, infatti, vi è anche la deformazione del velivolo a dissipare, il quale anch’esso subisce un accartocciamento con le modalità viste in precedenza. Sempre Wierzbicki ricava una relazione per il taglio della fusoliera.
Le aliquote fin qui considerate sono le cosiddette “energie visibili”. Vi è però un’altra aliquota individuata da J. D. Riera ne “On the stress analysis of structures subjected to aircraft impact forces” ed è dovuto al momento trasferito.
Consideriamo adesso una serie di step successivi e andiamo man mano a sottrarre energia dall’energia cinetica dell’aereo:
Essendo l’energia dissipata eccedente quella cinetica dell’aereo si ha l’arresto di quest’ultimo. La corsa totale dell’aereo è stata di 28 m. E’ possibile esprimere un giudizio sui risultati confrontando con il caso reale del WTC. In quell’incidente:
• La velocità dell’aereo all’inizio dell’impatto era di 560 mph (circa 260 m/s) per il NIST, di 590 mph (264 m/s) per il FEMA.
La velocità ipotizzata in questa simulazione è di 167 m/s, quindi inferiore;
• La massa dell’aereo era di 124 000 kg, con un affollamento del 70% rispetto al valore massimo.
La massa ipotizzata in questa simulazione è di 100 000 kg, quindi leggermente superiore;
• La lunghezza dell’aereo era di 48.5 m ed era un Boeing 767.
Nella simulazione effettuata si è fatto riferimento ad un modello di Boeing leggermente più grande con lunghezza totale di 54.94 m.
• La corsa dell’aereo fu stimata essere attorno ai 60 m.
In questa simulazione l’aereo è penetrato per soli 28 m, ma con una velocità di 167 m/s contro i 260 m/s dell’incidente.
• La decelerazione di picco dell’aereo è stata stimata essere pari a -62g, ovvero -610 m/s2 con una durata dell’impatto pari a 0.63 s.
In questa simulazione si è assunta una durata dell’impatto pari a 0.60 s. Rispetto al caso reale si aveva una velocità maggiore, ma di contro le colonne del WTC erano più resistenti e più fitte sul perimetro (1 m di distanza contro gli 1.525 dell’edificio in progetto);
Quest’ultimo dato, ovvero la durata dell’impatto, è particolarmente importante per definire una time-history di carico. Assumendo, infatti, una variazione della velocità lineari tra i punti:
• t = 0.15 sec; v = 167 m/s;
• t = 0.6 sec; v = 0 m/s;
Si ricava una funzione che permette di studiare nel tempo l’azione dell’aereo sull’edificio.
Al tempo t = 0 sec si fa corrispondere il valore pieno della forza, che è pari a 27.83 MN. In accordo con gli studi eseguiti dal NIST, si mantiene costante questa forza fino all’istante t = 0.15 sec. Dopodiché si ha il decremento. L’andamento numerico è riportato di seguito:
Questa forza è stata modellata al SAP applicandola su un’area a spessore nullo:
L’estensione di tale superficie è pari a 35.7 m2 avendo mediato la deformazione della fusoliera (di 19.6 m2) e l’ingombro della parte iniziale delle ali. Queste ultime, quindi, non vengono modellate (se non, come detto, la primissima parte, quella di attacco) avendo fatto l’ipotesi di fusoliera rigida e ali deformabili rispetto alle colonne).
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SCHEMA SEMPLIFICATO DI COMPORTAMENTO DEL FRAMED TUBE
Fino ad ora abbiamo solo definito le azioni che possono essere presenti sulla struttura, ma non le abbiamo applicate, fatta eccezione per l’impatto aereo per il quale non si è voluto dividere la trattazione. Carichi propri dell’edificio, azione del vento, azione della neve, devono essere applicate per valutare in prima approssimazione il comportamento della struttura.
Non è possibile “gettare” tutto nell’elaboratore elettronico ed ottenere i risultati così come vengono, ma bisogna fare una prima stima degli effetti per poi, successivamente, confrontarli con quanto restituito dal computer. Quest’ultimo è solo uno strumento che ci semplifica il lavoro eseguendo operazioni laboriose, ma non può in nessun caso sostituirsi all’operatore. Uno dei professori avuti da chi vi scrive ci teneva a sottolineare il duplice significato del termine “SAP”, il quale, oltre ad essere un acronimo, in inglese si traduce come “stupido”. La stupidità del SAP sta nell’eseguire i nostri comandi, indipendentemente da quanto gli diciamo di fare, corrette o meno che siano le istruzioni.
Vediamo come calcolare velocemente il comportamento della struttura sotto carico. Per i carichi gravitazionali è banale l’operazione, noi concentriamoci su quelli orizzontali, che presuppongono la schematizzazione dell’edificio come una mensola incastrata alla base.
Nel caso del vento possiamo considerare il carico distribuito linearmente sulla facciata:
A questo punto è semplice ricavare un momento ribaltante, che poi andiamo a distribuire su tutta la facciata, in modo da avere sforzi assiali nelle colonne. Dopo aver ripartito gli sforzi su tutte le colonne possiamo anche fare un confronto con il SAP. I risultati ottenuti, per quanto complesso potrà risultarvi il modello, saranno molto simili.
E’ possibile poi valutare il Bending Rigidity Index della pianta, che ci da informazioni riguardo l’efficienza a flessione della struttura. Per ricavare il parametro dobbiamo riferirci al caso ideale, ovvero con aree centrifugate al massimo. Questa condizione la si ottiene addensando tutta l’area di piano nei 4 angoli della pianta.
L’area totale delle colonne per i livelli compresi tra 1 e 10 è di 12 m2. Il caso ideale si ottiene con 4 colonne negli angoli di area pari a 3 m2 ognuna. Adesso basta calcolare le inerzie nei due casi anzidetti, ovvero reale e ideale, e farne il rapporto. Ovviamente il confronto va fatto tra inerzie lungo la stessa direzione, quindi minima ideale con minima reale e massima ideale con massima reale.
• Imin caso ideale per piani 1-10: 2 871 m4;
• Imin caso reale per piani 1-10: 1 123 m4;
BRI1-10 = 1 123 / 2 871 = 39%
Per gli ultimi piani, invece:
• Imin caso ideale per piani 41-50: 1 371 m4;
• Imin caso reale per piani 1-10: 624 m4;
BRI41-50 = 671 / 1 371 = 46%
Calcoliamo adesso gli spostamenti dovuto alla deformabilità di travi e colonne. Si fa sempre riferimento allo schema a mensola assumendo un’inerzia equivalente. Da notare che le sezioni delle colonne cambiano, quindi o consideriamo una trave ad inerzia variabile oppure si assumerà un inerzia media.
La deformata flessionale per le due direzioni vale:
A questa va aggiunta la componente di racking delle colonne:
E, infine, la componente di racking dovuta alla rotazione delle travi:
Dunque, lo spostamento totale lungo X è:
In forma grafica:
Esprimendo in percentuali si ha per il lato A:
• Componente flessionale: 25% ;
• Componente tagliante delle colonne: 17% ;
• Componente tagliante delle travi: 58%.
Questi valori sembrano essere molto buoni considerando sia la loro grandezza assoluta che quella relativa. Bungale Taranath individua questa ripartizione come ottimale:
• Componente flessionale: 15-20% ;
• Componente tagliante delle colonne: 15-20% ;
• Componente tagliante delle travi: 50-60%.
Riferendosi agli output del SAP:
Da notare che vi è una buona corrispondenza tra i valori ottenuti dal SAP ed i valori calcolati a mano:
• X:
o Calcoli manuali: 196 mm ;
o Output SAP: 239 mm.
• Y:
o Calcoli manuali: 303 mm ;
o Output SAP: 311 mm.
Questo significa che i nostri calcoli manuali sono stati ben fatti, ma, soprattutto, che il modello realizzato al SAP2000 si comporta come ci aspettiamo.
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COMPORTAMENTO DELLA STRUTTURA SOTTO CARICO
SOLO VENTO LUNGO X
Iniziamo col considerare gli effetti della sola azione del vento lungo la direzione X:
Come anticipato, ci si aspetta una distribuzione non uniforme degli sforzi sulle facce sopravento e sotto vento a causa degli effetti dello shear lag. I risultati al SAP hanno confermato in pieno il comportamento previsto. Di seguito sono riportati gli sforzi nelle varie colonne:
Le colonne sopravento sono, ovviamente, in trazione, ma la distribuzione degli sforzi presenta 2 massimi in corrispondenza degli angoli con valori che raggiungono i 3 032 kN a fronte dei soli 500 kN al centro. La parte centrale delle flange, quindi, offre un contributo notevolmente inferiore rispetto alle zone laterali. Si consideri anche che, in base agli schemi di Fazlur Khan, avendo uno Stiffness Factor pari a 5 (il massimo è 10, il minimo è 0.1) il comportamento non è troppo lontano da quello ideale. Questo significa che un cattivo dimensionamento delle spandrel beams condurrebbe a differenze ancora maggiori.
Per quanto riguarda le anime, si attende una distribuzione a farfalla; ciò che varia tra il caso reale e quello ideale è l’andamento: lineare per il secondo, non lineare per il primo:
E’ interessante a questo punto valutare quale sarebbe l’andamento degli sforzi nel caso di rigidezza infinita dei collegamenti. Come visto nel capitolo 5, è proprio la deformabilità dei collegamenti a dar luogo allo shear lag. Annullando la deformabilità ci si aspetta l’annullamento dello shear lag:
L’andamento delle distribuzioni è perfettamente lineare in entrambi i casi confermando quanto detto in via teorica sul ruolo dei collegamenti. Le spandrel beams sono quindi fondamentali per il framed tube.
Per quanto riguarda la distribuzione degli sforzi ai vari piani:
Si nota come siano caricate in particolar modo le colonne d’angolo dei piani bassi. L’effetto shear lag si risente soprattutto alla base, mentre è meno marcata la differenza per i piani alti.
E’ interessante notare come il contributo delle colonne del core sia assolutamente trascurabile nel fronteggiare l’azione laterale. Questo risultato è ampiamente atteso, comunque, essendo le colonne del core locate verso il centro sia lungo l’asse X che lungo l’asse Y. In una sezione scatolare elementi posti al centro danno un contributo quasi nullo alla resistenza delle azioni laterali.
Apriamo una parentesi sul ruolo della fasciatura di bordo è importante non solo per gli sforzi, ma anche per gli abbassamenti (ovviamente, comunque, i due problemi sono tra loro legati). Facendo un confronto si nota l’enorme differenza (in questo caso l’azione considerata è con soli carichi permanenti):
Mentre senza fasciatura:
Le differenze sono notevoli. Nel primo caso le colonne sono tutte tra loro scollegate e gli abbassamenti sono funzione di quanto carico arriva dai solai. Questi ultimi presentano una disposizione delle travi atta a migliorare la ripartizione dei carichi, ovvero cercare di ottenere un’orditura lungo 2 direzioni. La situazione ideale è comunque difficile ed onerosa da ottenere.
Nel secondo caso le fasciature tirano le colonne meno caricate chiamandole a contribuire a sopportare i carichi; questo si traduce in una distribuzione più omogenea degli sforzi e, quindi, degli abbassamenti.
Infine, si riporta l’andamento degli N nei 2 casi fin qui trattati (sempre per il solo caso di carichi permanenti agenti):
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POSSIBILI OTTIMIZZAZIONI DEL FRAMED TUBE
Abbiamo visto come oltre una certa altezza la soluzione di tubo intelaiata possa essere la migliore, almeno rispetto alle configurazioni classiche di CBF/EBF/MRF. Uno dei problemi del framed tube, però, consiste nella scarsa partecipazione del nucleo nella resistenza alle azioni orizzontali. Il motivo sarà ben chiaro alla luce di quanto ci siamo detti. Per ottimizzare il comportamento della struttura possiamo pensare al fatto che la ripartizione delle forze avviene in base alla rigidezza (e non alla resistenza!), quindi irrigidendo il nucleo carichiamo quest’ultimo e scarichiamo il perimetro.
Facciamo allora riferimento a 3 diversi modelli:
1. Framed tube “puro”;
2. Framed tube con shear walls sul perimetro del nucleo;
3. Framed tube con braced frames sul perimetro del nucleo.
Iniziamo a vedere gli sforzi assiali sul modello principale, costituito dal solo core:
Si ha che:
• Nel caso di FT puro il nucleo porta il 29% dei carichi totali;
• Nel caso di shear walls il nucleo porta il 41% dei carichi totali;
• Nel caso di braced frames il nucleo porta il 40% dei carichi totali.
Non si ha molta differenza, dunque, tra la soluzione con controventi e quella con pareti a taglio; entrambe riescono a scaricare il tubo assumendo parte dei carichi. In questa sede ci si limita ad un’analisi della statica della struttura, ma è ovvio che sarà il criterio economico a stabilire quale delle 3 soluzione è quella da preferire. Infatti, se i modelli secondari (SW e BF) comportano un aggravio di spesa che supera il risparmio dovuto all’impiego di sezioni minori per il FT è ovvio che rimane la soluzione pura quella da preferire in sede di realizzazione dell’opera. Il fine ultimo è proprio quello di cercare di ottenere un tornaconto dallo scarico delle colonne perimetrali; se il tornaconto non lo si ottiene, o risulta comunque molto basso, sarà da preferirsi evitare di aggiungere elementi alla struttura.
Di seguito si riportano gli sforzi di taglio negli shear walls e gli sforzi assiali nei controventi:
Sforzi assiali a parte, l’influenza di controventi e pareti a taglio risulta evidente se si fa riferimento agli spostamenti dell’edificio negli Stati Limite di Esercizio, come è visibile nel diagramma che segue:
Ovvero, per la direzione X si ha:
• 16.7 cm per il modello con solo FT;
• 13.4 cm per il modello con controventi;
• 13.0 cm per il modello con pareti a taglio.
Mentre per la direzione Y:
• 21.8 cm per il modello con solo FT;
• 16.6 cm per il modello con controventi;
• 15.9 cm per il modello con pareti a taglio.
Anzitutto si può rilevare, nuovamente, come le due soluzioni dei modelli secondari portino a risultati molto simili tra loro.
Secondariamente, si fa notare come gli spostamenti dell’edificio siano estremamente bassi rispetto all’altezza. La struttura risulta quindi essere abbastanza da rigida da evitare disagio agli occupanti durante il normale utilizzo.
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TIME-HISTORY DELL’IMPATTO AEREO
Torniamo ad occuparci dell’impatto aereo, perché dopo aver modellato la struttura al SAP confrontiamo i nostri calcoli manuali con gli output del programma. In particolare, avendo definito una time history come anticipato nel capitolo dedicato alle azioni, è adesso possibile valutare gli effetti dell’impatto aereo a vari istanti t. Iniziamo con l’analizzare le deformate dell’edificio (ogni configurazione presenta una scala di deformazione diversa; questo significa che il notevole imbozzamento che si nota nella prima deformata non è superiore allo spostamento in sommità dell’ultima deformata):
Le deformate mostrano come l’urto venga sentito prima localmente dalla struttura, poi gli effetti man mano si estendono globalmente a tutto l’edificio.
Gli spostamenti sono i seguenti:
• Istante t = 0.0 sec; d = 0 cm;
• Istante t = 0.1 sec; d = 0.71 cm;
• Istante t = 0.2 sec; d = 3.20 cm;
• Istante t = 0.3 sec; d = 6.43 cm;
• Istante t = 0.4 sec; d = 9.27 cm;
• Istante t = 0.5 sec; d = 11.49 cm;
• Istante t = 0.6 sec; d = 12.94 cm;
Lo spostamento massimo nel punto d’impatto è di 18.67 cm. Per avere grandezze di confronto, si è stimato che il WTC subì uno spostamento massimo in corrispondenza dell’impatto di 30 cm; considerando la maggiore velocità ed il maggior peso dell’aereo in quell’incidente, il risultato appare verosimile.
Come si può notare dalle deformate, l’oscillazione da locale diventa globale; i punti in sommità, essendo più distanti dai vincoli al suolo, vedranno spostamenti maggiori. L’andamento degli spostamenti nel tempo è:
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CONCLUSIONI
Di seguito sono riportati i punti salienti del lavoro svolto (alcuni punti sono stati omessi):
• Sono state vagliate diverse ipotesi strutturali per il raggiungimento dei 50+1 piani previsti e si è valutata l’efficienza/inefficienza di determinate soluzioni rispetto ad altre;
• Si è studiato il comportamento di una struttura a tubo intelaiato, passando in rassegna i vantaggi e gli svantaggi di tale soluzione;
• Si sono viste le differenze tra una sezione scatolare pura ed un tubo intelaiato, con particolare attenzione agli effetti negativi dello shear lag;
• Si è vista l’importanza di un predimensionamento con i parametri dettati da Fazlur Khan, in modo da avere il corretto equilibrio tra le rigidezze di travi e colonne e per poter limitare al minimo il negativo effetto dello shear lag;
• Si è cercata la migliore distribuzione possibile dei carichi di piano alle varie colonne; questo è resto possibile dalla particolare orditura lungo 2 direzioni, ipotizzata prendendo a modello quella del World Trade Center;
• Si è prestata attenzione all’estetica dell’edificio mantenendo inalterate le dimensioni esterne delle colonne del FT e del core e facendo variare invece gli spessori ed il tipo di acciaio da impiegare; avere ingombri sempre costanti porta vantaggi anche dal punto di vista operativo per il montaggio in cantiere;
• Si è vista l’importanza di alcuni elementi cruciali per la struttura, come la fasciatura di bordo; l’analisi ha previsto lo studio dell’edificio in presenza ed in assenza di tali elementi per valutarne le differenze;
• Si sono studiati gli effetti delle raffiche di vento sugli edifici alti valutando i coefficienti dinamici nelle ipotesi di struttura non suscettibile di eccitazione dinamica (come un edificio ordinario) e struttura suscettibile di eccitazione dinamica (come un edificio alto);
• Si è vista l’influenza della zona geografica del sito sulla progettazione e di come per alcune aeree l’azione sismica diventi dominante anche per edifici di grandi altezze;
• Si sono studiati gli effetti di un impatto aereo su un edificio alto facendo riferimento a criteri energetici, valutando la reazione della struttura nel tempo ed i danni a livello locale e globale di un simile incidente;
• Si è vista l’importanza di veloci calcoli manuali per individuare un primo range di sezioni da impiegare per la struttura e si è verificata l’ottima approssimazione di tali calcoli rispetto ai risultati ottenuti da un elaboratore elettronico; il predimensionamento ha sfruttato semplici quanto efficaci schematizzazioni, come l’assumere l’intero edificio come una mensola incastrata alla base e valutarne momento ribaltante sotto azioni orizzontali, spostamenti, ecc.
• Si è valutata la deformabilità flessionale e tagliante dei vari elementi costituenti l’edificio ed il loro contributo negli spostamenti globali della struttura;
• E’ stato ipotizzato un possibile suolo di fondazione per la struttura al fine di dimensionarne le fondazioni su pali ed il risultato ottenuto è stato confrontato con progetti simili;
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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
1. B. S. TARANATH – Wind and Earthquake Resistant Buildings, Structural Analysis and Design;
2. M. ALI, K. S. MOON – Structural Developments in Tall Buildings: Current Trends and Future Prospects – Architectural Science Review, Volume 50.3, pp 205-223, University of Sidney;
3. R. NAIR – Structural Systems for High-rise Buildings – Engineering Journal vol 88, October 2007;
4. T. WIERZBICKI, L. XUE, M. HENDRY-BROGAN – Aircraft Impact Damage – MIT University;
5. F. SADEK, E. SIMIU, M. A. RILEY, W. FRITZ, H.S LEW – Baseline Structural Performance and Aircraft Impact Damage Analysis – NIST, National Institute of Standards and Technology;
6. R. SHANKAR NAIR – Belt Trusses and Basements as “Virtual” Outriggers for Tall Buildings – Engineering Journal / fourth quarter / 1998 – American Institute of Steel Construction;
7. P. S. KIAN, F. T. SIAHAAN – The Use of Outrigger and Belt Truss System for High-rise Concrete Buildings – Dimensi Teknik Sipil vol. 3, no. 1, Maret 2001;
8. G. ALFANO, M. BRIGANTE, L. ROSATI, F. URCIUOLI – Influenza della rigidezza flessionale dei solai nell’analisi dinamica di edifici alti – Dipartimento di Scienza delle Costruzioni, Università degli Studi di Napoli Federico II;
9. S. SHYAM SUNDER et alii – Final Report on the Collapse of the World Trade Center Towers – NIST NCSTAR 1, National Institute of Standards and Technology;
10. S. SHYAM SUNDER – World Trade Center Investigation Status – NIST, National Institute of Standards and Technology;
11. R. GANN, M. A. RILEY, J. M. REPP, A. S. WHITTAKER, A. M. REINHORN, P. A. HOUGH – Reaction of Ceiling Tile Systems to Shocks – NIST NCSTAR 1-5D, National Institute of Standards and Technology;
12. G. C. CLIFTON – Collapse of the World Trade Center Towers;
13. T. MCALLISTER et alii – FEMA Report on World Trade Center Towers Collapse – Chapters: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8; Appendix: A, B, C, D, E, F, G, H, I – FEMA, Federal Emergency Management Agency;
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N.B.
Il presente articolo è un sunto di una relazione più completa che riporta tutti i calcoli effettuati per ottenere i risultati riportati.
Nel caso vi siano errori o vogliate fare segnalazioni, potete scrivere a: angolodellostrutturista@hotmail.it
Se volete riprodurre in parte o totalmente il materiale non ci sono problemi, ma sarebbe apprezzato segnalarlo all’autore mandando una mail a: f.s.onorio@hotmail.it o lasciando un commento qui sotto.
[…] riferimento all’articolo “Analisi e calcolo strutturale di un edificio in acciaio di 50 piani con struttura a tubo intelaiato“, riportiamo di seguito le tavole realizzate per il progetto in formato […]
downloads estrutural
ciao francesco,prima di tutto volevo farti i complimenti per questo magnifico esempio di professionalità ed altruismo che dimostri partecipando a questo straordinario sito e all’impegno profuso nel rispondere alle domande nonostante i tuoi impegni professionali;detto ciò volevo dirti che stiamo riscontrando dei problemi nell’approccio a progetto e modellazione di un caso si studio, L’hearst Tower di New York, anche a causa della scarsità di documenti in merito,potreti darci qualche consiglio circa le fonti a cui attingere??ti ringraziamo e a sentirci presto…..ciao
Ciao Luana,
vorrei esserti di aiuto ma purtroppo al momento non ho la possibilità di dedicarmici come una simile ricerca vorrebbe.
Ti dico alcuni “tricks”: ci sono dei siti che “in qualche modo” ti consentono di accedere alle biblioteche universitarie online, da cui puoi scaricare tesi e pubblicazioni. Sicuramente molte università americane avranno tutte le informazioni che cerchi.
Quando mi occupai dello studio dell’Hagia Sophia fu così che riuscii a costruire una bibliografia di circa 100 fonti, tra tesi, articoli e libri.
P.S. altrimenti prova a cercare in Google:
“Hearst Tower” filetype:PDF
If only more people could read about this..